“Alla scritta, su su in cima, mancano alcune lettere, altre sono storte. Anche se ha solo 5 anni e non va ancora a scuola, riconosce la G e la H e sa che il cerchietto corrisponde sempre alla O, che ora è anche la forma dello stupore sulle sue labbra. ‘Grand Hotel’ legge Vera per lui mentre si avvicinano, indicando l’alto edificio che li attende, addormentato. Le finestre sono tanti occhi ciechi. Nei muri lunghe rughe che si sbriciolano, solchi di lacrime secche. Le scritte e i disegni colorati invece di mettere allegria fanno somigliare il palazzo ad un vecchio gigante umiliato. La porta d’ingresso sembra una giostra rotta, ed è sbarrata con assi di legno. Piccoli arbusti bucano l’asfalto del piazzale come dita di scheletri che cercano di uscire dalle tombe.”
In quello che rimane di un vecchio hotel inizia, con una sequenza terrificante, “Io sono l’abisso” l’ultimo lavoro di Donato Carrisi, maestro in Italia della letteratura di genere nell’ambito thriller, giallo e mistery. Citando il titolo di una sua fortunata opera, Carrisi è riconosciuto come un vero e proprio maestro delle ombre.
“Io sono l’abisso” intreccia le dolorose storie di tre personaggi sullo sfondo di un thriller procedurale abbastanza convenzionale.
L’uomo che pulisce è un operatore ecologico che non prova ribrezzo per il suo lavoro, anzi lo trova necessario per conoscere il mondo che lo circonda. In fondo è proprio in ciò che la gente getta nella spazzatura a celare i più profondi segreti.
La ragazzina con il ciuffo viola è la figlia adolescente di una ricca famiglia, la cui esistenza è messa a dura prova dall’aridità dei rapporti con i suoi genitori e da una squallida storia di abusi.
La cacciatrice di mosche è una donna decisa a perseguire il suo obbiettivo: fermare la violenza e salvare il maggior numero di donne. Nulla può fermarla nel suo intento, neanche l’inquietante fama che la precede.
Tre personaggi senza nome, tre personaggi identificati da banali epiteti. Una depersonalizzazione che vuole farci intendere che le storie di ordinario disagio che ci vengono narrate possono essere le storie di ognuno di noi. Sono fatti di dolore e soprusi, di egoismo a cieca ambizione che nascono tra le mura domestiche e maturano in forme imprevedibili, spesso tragiche, sempre drammatiche.
Carrisi dimostra di conoscere bene il mestiere del narratore anche con questo suo ultimo lavoro partorito durante le giornate più dure del lockdown. “Io sono l’abisso” scorre abbastanza agevolmente e il lettore che si accinge alla lettura ne rimane ben presto catturato. Alcune sequenze lasciano oggettivamente senza fiato, non tanto grazie ad una prosa raffinata quanto ad una narrazione che tende la mano al grande schermo. In questo Carrisi sfrutta tutta la sua esperienza da sceneggiatore e regista cinematografico facendoci vedere le cose sotto l’occhio ipotetico di una telecamere impiantata nel cervello del lettore. Alcune descrizioni sono addirittura maniacali perché , ricordiamolo, l’autore oltre ad essere un bravo narratore, ha anche una specializzazione in criminologia e scienza del comportamento. Emblematica in questo senso è la descrizione dell’assassino di turno che , come in un rito catartico, eradica ogni traccia del suo misfatto.
“Nell’attesa che la biancheria si asciugasse, indossò una mascherina con filtro per l’aria e pulì a secco, con una soluzione di acqua distillata e tetracloroetilene, la cravatta e la fodera in tela della giacca in pelle. Tamponò la parte del blazer con un panno di lino imbevuto di solvente a idrocarburi raffinati. Sterilizzò orologio, anello, portafoglio e cintura con ammoniaca vaporizzata. Fece lo stesso con il carrarmato di latta e le chiavi, compresa quella del Fiorino. Cosparse le suole di cuoio degli stivaletti con un mastice a base di solfato basico di cromo, poi rimosse la patina a cui erano rimasti attaccati fibre e terriccio. Frizionò le scarpe con un acido organico diluito con alcol al 70%, quindi le ripassò con olio ammorbidente e lucido di cromatina. Infine, ancora completamente nudo, stirò gli abiti nel silenzio della casa, ripiegandoli con cura.”
Dunque fin qui tutto bene. Passiamo alle note dolenti. Eh si, perché purtroppo di note dolenti ce ne sono diverse e tutte piuttosto rilevanti.
Come nella precedente opera di Carrisi (“La casa delle voci” di cui trovate la mini recensione nel blog) , la trama procede mediante degli snodi narrativi che si risolvono in maniera assurda o , nel migliore delle ipotesi , con una semplicità stucchevole. I personaggi sono stereotipati in maniera tremenda e neanche l’interessante espediente letterario di renderli senza identità riesce ad incentivare una caratterizzazione tridimensionale: gli oscuri segreti che i personaggi nascondono e come questi li hanno forgiati alla vita risultano di una banalità disarmante. Si giunge così ad un finale che , per usare un eufemismo, non fa cadere dalla sedia. Insomma , non bisogna avere un’intelligenza sopra la media per prevedere abbastanza agevolmente (e sin dalle prime battute) come si sviluppa la vicenda: sintomo evidente di una trama debole e banale, seppur raccontata con mestiere.
Voglio bene a questo autore, ho avuto il piacere di conoscerlo di persona in libreria durante una sessione di firmacopie e mi ha dato l’impressione di una persona estremamente cordiale e disponibile. Ho soprattutto apprezzato il suo mettersi a disposizione sui social durante le logoranti giornate di lockdown, leggendo le sue opere ad un pubblico invisibile ma presente.
Per tutti questi motivi i libri di Carrisi troveranno sempre spazio nella mia libreria ma, mi spiace, con “Io sono l’abisso” non ci siamo proprio.
I fasti toccati da “Il suggeritore” sono lontani.
Non so, tutto questo aggettivame e questa minuziosità mi puzzano di stereotipo e pesantezza.
Va detto che grazie ad alcune recensioni sto riconsiderando di prendere in mano, almeno per un tentativo, Carrisi.
Magari col Suggeritore, seguendo il consiglio del coniglio…
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Carrisi non mi fa impazzire, lo leggo più come un “defaticante”. Cmq grazie per la fiducia, spero di darti buoni consigli
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