Philip K. Dick (1928-1982) è considerato uno dei più grandi scrittori di fantascienza della storia. I suoi romanzi hanno dato vita a storie iconiche della fantascienza (“La svastica sul sole”, “Ubik” e “Le tre stimmate di Palmer Eldritch” per citarne alcuni) che hanno ispirato diverse serie tv ed un film di culto come “Blade Runner”. Tuttavia molti ritengono che l’essenza e la grandezza di Dick sia riposta nella sterminata produzione di racconti dove l’autore ha iniziato a sperimentare lo stile e le tematiche distintive della sua opera: l’ossessiva indagine della realtà circostante, l’inconsueto e non convenzionale che genera smarrimento e perdita di identità, la follia e la mancanza di fiducia in tutto ciò che è ordinario. I racconti di Dick li potete trovare ristampati da Fanucci editore e raccolti in 4 volumi che li suddividono per periodo storico.
Nella prefazione al primo di questi volumi Dick spiega come si sia avvicinato alla scrittura di genere science fiction e da dove abbia tratto ispirazione, fornendoci un’illuminante lezione di scrittura creativa. Ci narra del suo primo racconto venduto ad una rivista di genere, la Magazine of Fantasy & Science Fiction di Anthony Boucher. Questo racconto, intitolato “Roog”, descrive la storia di un cane che ogni venerdì mattina all’alba abbaia in maniera sconsiderata e molesta all’indirizzo dei netturbini, rei di rubare il prezioso cibo contenuto nei bidoni della spazzatura dei suoi padroni. I netturbini vengono visti come entità maligne della peggiore specie e il cane come ultimo baluardo di quel violento attacco perpetrato da queste entità.
L’ispirazione per questo racconto arrivò nella mente di Dick osservando un vero cane , chiamato “Snooper”, che lo faceva impazzire tutte i venerdì mattina con i suoi latrati all’indirizzo degli operatori ecologici. Dick provò ad entrare nella mente di Snooper e a vedere le cose dal suo punto di vista. Capii che la realtà di Snooper era molto differente da quella che percepiamo noi e che questa era altrettanto comprensibile e lecita: per Snooper gli spazzini erano creature orribili e il mondo tutto era insensibile ed inerme di fronte a tanta malvagità.
Deve essere stata un’esistenza terribile per il povero Snooper !

Più in generale Dick capii che padroneggiare il punto di vista di qualsiasi essere vivente gli apriva la possibilità di esplorare infinite realtà diverse e distanti dalla nostra. La cosa veramente interessante è che all’epoca (metà del secolo scorso) questo modo di vedere le cose non fu apprezzato dagli operatori del settore. La sci-fi era considerata letteratura di serie B quindi non si fa fatica a comprendere quanta riluttanza abbia incontrato Dick. Una eminente curatrice di antologie dell’epoca così sentenziò dopo aver letto “Roog”: “Gli spazzini non sono così. Non hanno colli sottili come matite e teste tremolanti. Non mangiano la gente”.
Molti anni dopo “Roog” e la sci-fi tutta acquistarono la giusta dignità. “Roog” fu incluso nei testi di alcune antologie per le scuole superiori e Dick ci racconta che parlando con gli studenti di una scuola comprese che tutti lo avevano capito, soprattutto un ragazzo non vedente. Questo ragazzo aveva compreso meglio di chiunque altro quale angoscia frustrava il povero cane protagonista del racconto. E’ evidente quindi che chi non ha avuto la possibilità di vedere la realtà che lo circonda è in grado di comprendere ed accettare molto più facilmente di chiunque altro le infinite realtà che derivano da punti di vista distanti dal nostro. Più in generale, il senso ultimo della scrittura narrativa secondo Dick divenne quello di dare voce a tutte le creature che voce non hanno o che non vengono ascoltate.
Dick è morto e, nonostante lo scetticismo di cui è stato vittima all’inizio della sua carriera, ci ha lasciato in eredità questo racconto e tutta la sua monumentale opera. Anche il povero Snooper è morto.
Oggi sappiamo che entrambi facevano la cosa giusta.
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