Una moltitudine di Shirley Jackson

Qualche anno fa dovetti assecondare le periodiche pulsioni di mia moglie che si manifestano ad ogni cambio di stagione: sistemare la cantina.

Accettai controvoglia perché l’alternativa ancora più temibile era la domenicale escursione all’Ikea. Un percorso periglioso tra divani componibili, librerie Billy, metri di carta da utilizzare come lingue di Menelik , matite appuntite come l’arma del delitto di un noir di serie B e un milione di persone per metro quadro. Tutto ciò era una prospettiva ben peggiore dell’immergersi in un pozzo oscuro abitato da creature malvagie che reclamano la tua anima.

Ci agghindammo come i minatori del Klondike in missione nella Fossa del Coniglio in Alaska e ci avventurammo in quell’anfratto polveroso ricoperto da cumuli di mosche secche.

Nessun clown malvagio si manifestò durante l’escursione come pure non scovammo alcun passaggio segreto diretto verso una base nazista intenta in qualche raccapricciante esperimento su cavie umane. Quindi portammo a compimento con successo la nostra missione. I preziosi reperti archeologici che rinvenimmo da quella leggendaria corsa all’orpello furono una scatola di addobbi natalizi, del materiale inutilizzabile per il campeggio, un tostapane e diversi scatoloni contenenti della maioliche, avanzi di una vecchia ristrutturazione antecedente l’era moderna.

Andò decisamente meglio alla famiglia Hyman che, in un fienile del Vermont, rinvenne degli scatoloni contenenti documenti della loro madre scomparsa venticinque anni prima: la signora Shirley Jackson. All’interno vi trovarono il manoscritto originale de “L’incubo di Hill House” con gli appunti dello sviluppo dei personaggi e delle scene, diversi racconti inediti ed una pletora di scritti in forma di diari, poesie , drammi teatrali, sezioni di romanzi incompiuti.

Il lungo lavoro di ricostruzione di quel prezioso materiale culminò in un libro uscito nel 2015 con il titolo di “Let me tell you“. Una selezione di questo materiale è arrivata in Italia nel 2018  grazie ad Adelphi e alla sapiente traduzione di Silvia Pareschi.

Paranoia è un libro suddiviso tra Narrativa (sono presenti quattro racconti inediti) e Saggistica. Quest’ultima sezione rende bene l’idea di come Shirley Jackson sia stata un’autrice “multiforme”.

Ruth Franklin, la scrittrice che ha redatto la più accreditata delle biografia di Shirley Jackson (ancora inedita in Italia), definisce “Let me tell you”  un contenitore di una moltitudine di Shirley Jackson. Caratteristica questa che è riconosciuta dalla stessa Jackson e che diventa il nucleo narrativo di uno dei suoi romanzi di maggior successo (“The Bird’s Nest“, 1954. Tradotto in Italia con il titolo di “Lizzie”) in cui la protagonista soffre di un disturbo dissociativo della personalità.

Sebbene i racconti siano assolutamente godibili e ricalcano alcuni degli stilemi narrativi di tutta l’opera della Jackson (improvvisi fattori esterni e che scoperchiano il male che cova sotto l’apparente tranquillità della vita quotidiana, la sottile linea di confine tra l’orrore reale e il demone presente della mente dei protagonisti, per  lo più donne) è la sezione sulla saggistica il piatto forte del menù, quello in cui Shirley Jackson ama costruirsi un personaggio a metà tra l’amorevole casalinga e la strega amante dell’occulto.

La sezione di Saggistica e suddivisa in tre capitoli denominati:

  • Saggi e recensioni: “Preferisco scrivere che fare qualunque altra cosa”
  • Umorismo e Famiglia: “Per qualche motivo le cose non sono andate secondo le aspettative”
  • Conferenze sul mestiere di scrivere: “Voglio proprio vedere come te la cavi con questa frase” 

L’immagine della scrittrice casalinga emerge con dissacrante umorismo dalla descrizione che da della sua quotidianità. Una condizione di assoluta realtà alla quale nessun essere vivente riesce a mantenersi sano di mente (come recita uno degli incipit che , dal mio punto di vista, è tra i più belli e potenti della letteratura moderna) e da cui cerca di fuggire rifugiandosi nella fantasia.

La mia situazione è particolarmente toccante. […] Sono una scrittrice che, a causa di una serie di ingenui e inconsapevoli errori di giudizio, si ritrova con quattro figli e un marito, una casa di diciotto stanze senza domestica, due alani, quattro gatti e – sempre che sia ancora vivo – un criceto. Forse da qualche parte c’è anche un pesce rosso. […] Mentre rifaccio i letti e lavo i piatti e vado in paese a cercare le scarpette da ballo, mi racconto delle storie. Storie su qualunque cosa. Semplici storie. Dopotutto, chi può concentrarsi sui propri gesti mentre passa l’aspirapolvere? Io mi racconto delle storie. Ne ho una fantastica sul cesto della biancheria che ora non posso raccontare, e poi storie sui calzini mancanti, sugli elettrodomestici della cucina, sui cestini della carta straccia, sui cespugli lungo la strada che porta a scuola, praticamente su ogni cosa. Mi mantengono attiva, le mie storie. Forse quella sul cesto della biancheria non la scriverò mai – anzi, sono quasi certa che non la scriverò –, ma finché so che lì c’è una storia posso andare avanti a separare i bianchi da quelli colorati.

Lo spiccato senso di ironia che trabocca dalla descrizione della sua condizione di scrittrice e casalinga è in forte contrasto con il carattere cupo e tormentato dei personaggi che racconta. Shirley Jackson cerca con un sorriso di seppellire quella che è la sua condizione nell’epoca in cui essere donna rappresenta un forte elemento discriminatorio. Allo stesso tempo riflette sulle protagoniste delle sue opere tutto la sua condizione di disagio.  Un disagio derivante da un matrimonio fallito, in cui si ritrova moglie devota di un un marito che nell’ambite letterario ha un nome importante. Stanley Heyman, intellettuale e di tre anni più giovane della Jackson , è stato un illuminato critico letterario. Ma è stato anche un uomo indisponente verso gli obblighi familiari e con una particolare predisposizione al tradimento coniugale , quest’ultimo perpetrato neanche senza troppo riserbo. A una condizione così complicata si aggiunge anche una madre dispotica che non gli ha mai risparmiato delle critiche feroci sul suo aspetto fisico, arrivando anche a definirla “un aborto mancato”.

Mio marito recensisce libri per mestiere, e io vorrei presentare un reclamo. […] Io non credo di essermi meritata un recensore di libri, Mia madre si aspettava qualcosa di meglio per me. […] La gente sposa i recensori di libri con la speranza che si tratti di un lavoro temporaneo, che prima o poi il poveretto troverà un posto migliore, per esempio come venditore di aspirapolvere. Nel matrimonio di una ragazza giovane e sana le recensioni di libri non dovrebbero aver posto.

Le protagoniste (esclusivamente) femminili descritte dalla Jackson sono tutte angosciate, problematiche , conflittuali  o addirittura vittime sacrificali come nel racconto capolavoro “La Lotteria” che indignò i lettori del “New Yorker” ma che consacrò Shirley Jackson nell’olimpo degli scrittori del genere horror gotico.

E’ proprio nel complicato profilo psicologico dei personaggi  che si annida l’elemento chiave della narrazione della Jacskon. L’orrore che si manifesta nella casa di Hill House oppure nella tenuta della famiglia Blackwood de “Abbiamo sempre vissuto nel castello” non è dichiaratamente provocato da elementi sovrannaturali ma potrebbe esistere soltanto nella testa delle protagoniste. A questo dilemma la Jackson non fornisce mai risposta contrariamente ai numerosi autori che hanno cercato di “rileggere” queste opere con un taglio meno psicologico e più magico e , per questo motivo, non raggiungendo mai il livello qualitativo degli originali.

L’elemento gotico delle opere della Jackson è rappresentato esclusivamente dal contesto ambientale in cui si sviluppa la narrazione. L’antico castello della famiglia Blackwood o il labirintica tenuta di Hill House (dove “qualunque cosa si muovesse si muoveva da sola”) sono location e pretesti perfetti affinché le paure (e le colpe ) dei protagonisti possano emergere in superficie. Di cosa abbiamo realmente paura ? Abbiamo paura di noi stessi. Abbiamo paura di vederci per quello che realmente siamo. O peggio, abbiamo paura semplicemente di rimanere soli.

Non ricordava di essere mai stata davvero felice nel corso della sua vita adulta; gli anni con la madre si erano accumulati con dedizione fra piccole colpe e piccoli rimproveri, un tedio costante e una disperazione senza fine. Senza aver mai scelto di diventare timida e schiva , aveva trascorso tanto tempo sola, senza nessuno da amare , che le riusciva difficile parlare con qualcuno, anche del più e del meno, senza impiccio e un’imbarazzante incapacità di trovare le parole“. [Introduzione del personaggio di Eleanor Vance –  “L’incubo di Hill House”]

“Paranoia” ci apre una finestra nella vita privata e nel pensiero di Shirley Jackson, l’autrice che “non  scriveva con la penna ma con un manico di scopa” come recitava il necrologio apparso sul New York Times il giorno dopo la sua morte. “Paranoia” è anche  un testo fondamentale per comprendere lo spirito con il quale sono nate opere immortali quali “L’incubo di Hill House”, “La Lotteria” e “Abbiamo sempre vissuto nel castello”, opere delle quali c’è molto da raccontare e lo farò tra le pagine di questo blog. E’ una promessa !

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Crea un sito o un blog gratuito su WordPress.com.

Su ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: